Effetti dell’aria condizionata, patologie respiratorie allergiche e COVID-19

Analizziamo gli effetti dell’aria condizionata sulle patologie respiratorie allergiche e possibile rischio di veicolo di diffusione del COVID-19. Ne parliamo insieme al professor Gennaro Liccardi, della Scuola di Specializzazione in Medicina Respiratoria dell’Università di Tor Vergata di Roma.

I sistemi di condizionamento dell’aria sono stati concepiti per rendere più confortevole il vivere e lavorare in ambienti confinati (appartamenti, uffici, centri commerciali, auto ecc.)  nelle aree geografiche caldo-umide o, in aree temperate, durante i mesi estivi.

Nell’ambito della salute respiratoria ed in particolare nelle patologie allergiche i condizionatori possono determinare, a seconda del loro uso, l’induzione / peggioramento oppure miglioramento dei sintomi respiratori.

I sistemi capaci di generale caldo, freddo, umidità associati a sistemi di conservazione dell’energia (infissi anodizzati), cucine a gas o legna, arredamento, presenza di animali ecc. fanno sì che, nei paesi industrializzati, si viva per più ore in ambienti confinati che all’esterno. E’ da tempo accertato che tale “stile di vita” comporta un incremento del rischio di sviluppare rinite o asma allergiche da acari, muffe o epiteli di animali domestici. Gli ambienti confinati, spesso, risultano più “inquinati” da agenti chimici rispetto a quelli esterni. All’interno dell’ambiente e nei filtri dei condizionatori infatti è possibile riscontrare tre categorie differenti di agenti potenzialmente nocivi per l’apparato respiratorio:

  1. agenti infettivi come batteri (es. stafilococchi, legionelle ecc.), micobatteri e virus (es. influenza, ecc.)
  2. allergeni (es. di acari, muffe, animali ecc.)
  3. agenti chimici (da fuochi di cucina, fumo di sigaretta, detergenti ecc.)

Queste condizioni di inquinamento possono assumere proporzioni estreme in caso di edifici privi di finestre e dotati solo di condizionatori per il ricircolo dell’aria mal funzionanti (es. uffici, fabbriche ecc.). Nei soggetti che vi stazionano molte ore al giorno, i sintomi possono interessare occhi, cute, apparato respiratorio ma anche essere generali come stanchezza, mal di testa ecc. (la cosiddetta “sindrome dell’edificio malato”). I condizionatori, sebbene igienizzati, possono indurre disturbi respiratori lievi anche in individui sani, ma potenzialmente più gravi in soggetti con allergie respiratorie o broncopatie croniche. Soprattutto nei mesi caldi la differenza tra la temperatura ottimale da tenere negli ambienti confinati, siano essi pubblici, privati o di trasporto non dovrebbe essere inferiore ai 2-3 °C rispetto a quella esterna. Se la differenza è maggiore, soprattutto se vi è un passaggio “brusco” da caldo a freddo senza un adeguato tempo di adattamento, i sintomi respiratori possono insorgere in tempi più o meno rapidi. E’ ampiamente documentato che l’aria fredda, sia essa “naturale” che “condizionata” possa peggiorare l’infiammazione tipica dei soggetti rinitici / asmatici per una azione diretta sull’epitelio e, di conseguenza, innalzare anche la suscettibilità alle infezioni.

Sottoposto ad una corretta manutenzione ed utilizzo il condizionatore può, al contrario, essere utile in molte situazioni ambientali. Nelle aree urbane ad elevato inquinamento dell’aria, le ore trascorse in case dotate di aria condizionata ove i filtri trattengono gli agenti nocivi, sono in grado di migliorare le condizioni respiratorie dei soggetti asmatici, soprattutto in età pediatrica. Nelle aree geografiche con elevata umidità esterna, il condizionatore rende l’aria più “asciutta” e quindi meno favorevole alla crescita degli acari della polvere con ovvi benefici dei soggetti allergici. L’ambiente interno, con aria opportunamente condizionata, può essere un utile rifugio per i pazienti con allergia ai pollini durante i giorni con elevata presenza ambientale in quanto questi ultimi vengono trattenuti dai filtri.

Nell’epoca dei COVID-19, in molti programmi televisivi e nel web ci si è interrogati sul possibile ruolo dei sistemi di condizionamento dell’aria nella diffusione del virus negli ambienti interni. Pur non potendosi escludere, a priori, un’aspirazione del virus nei filtri (analogamente a quanto accade per altri micro-organismi) non esistono, al momento, dimostrazioni scientifiche a supporto di questa possibilità. Ritengo però condivisibile, soprattutto a scopo cautelativo, che i decreti anti COVID-19 abbiano vietato il ricircolo dell’aria nei condizionatori in funzione.  Un unico studio cinese ha ipotizzato che un avventore di un ristorante (risultato poi positivo al virus), che sedeva proprio davanti alla bocchetta dell’aria condizionata, abbia infettato i commensali che si trovavano nella direzione del flusso d’aria. Pertanto non è escludibile che un soggetto virus positivo che starnutisca in corrispondenza del bocchettone di un condizionatore non possa diffondere il virus un po’ più lontano delle distanze abitualmente previste! Si tratta però di una condizione “teorica” e non so quanto applicabile in campo reale. Sono però molto più propenso a ritenere che, anche negli ambienti interni climatizzati, il sovraffollamento (con tutte le ben note conseguenze) giochi un ruolo assolutamente prioritario nel processo di contagio. In futuro, ci saranno sicuramente studi “ad hoc” in grado di rispondere “scientificamente” a questa domanda che è da ritenersi assolutamente condivisibile.

Gennaro Liccardi1, Luigino Calzetta2, Paola Rogliani2

1Scuola di Specializzazione in Medicina Respiratoria. Dipartimento di Medicina Sperimentale, Università degli Studi “Tor Vergata”, Roma

2 Dipartimento di Medicina Sperimentale, Unità di Medicina Respiratoria, Università degli Studi “Tor Vergata”, Roma

Gennaro Liccardi
Scuola di Specializzazione in Medicina Respiratoria. Dipartimento di Medicina Sperimentale, Università degli Studi “Tor Vergata”, Roma
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